letteratura

Il minotauro di Friedrich Dürrenmatt

Il minotauro di Friedrich Dürrenmatt è una formidabile rivisitazione del mito dell’uomo-toro (o del re-toro) rinchiuso e intrappolato nel labirinto costruito da Dedalo per ordine del re Minosse di Creta. Nella versione di Dürrenmatt il labirinto è ricolmo di specchi che all’infinito replicano l’immagine del minotauro e delle figure umane con le quali entra in contatto: una rappresentazione dalla devastante forza simbolica. Il minotauro, nato dall’accoppiamento fra Pasifae, moglie di Minosse, e un toro bianco donato a quest’ultimo dal dio Poseidone, è essere mostruso dannato per sua natura, diviso, duplice, in perenne conflitto fra violenza bestiale e ragione, prerogativa umana. Il mito, in Dürrenmatt, diviene consapevolezza dell’impossibilità, dell’incolmabile distanza che separa l’uomo dalla vera conoscenza, e ancora l’uomo dall’alter, dal diverso da sé. Siamo di fronte, in sostanza, a una lucidissima interpretazione del mito in chiave esistenzialista. Il minotauro non è altro che vittima, figura meritevole di compassione e per sua natura estranea al peccato: come potrebbe, d’altronde, essere giudicato colpevole della gioia che lo pervade alla visione d’un corpo di donna che danza fra gli specchi assieme a lui, che si allontana e torna ad accostarsi, corpo che istintivamente l’essere mostruoso desidera e possiede, incapace di bilanciare la furia e comprendere il dolore inflitto ?

Dopo lunghi anni d’un sonno confuso” l’essere per metà uomo e per metà uro si ritrova di fronte all’immagine di sé replicata dall’infinito numero di pareti di specchi e si convince infine d’essere circondato da suoi simili, un minotauro fra minotauri: danza di gioia allora, “per il labirinto, attraverso il mondo delle sue immagini, danzò come un bimbo mostruoso, danzo come un mostruoso padre di se stesso, danzò come un dio mostruoso attraverso l’universo delle sue immagini”. Il Minotauro crede d’essere giunto finalmente alla verità, alla conoscenza della sua natura e della sua condizione, illusoriamente circondato da simili e sentendosi simile a un “dio dei Minotauri”. Questo improbabile equilibrio viene frantumato dall’incontro con l’altro, con la donna e con l’uomo, difformi ed estranei. E nello scontro con una natura differente dalla propria il mostro è persino animato da tensione positiva, dalla gioia d’apprendere che il mondo non è popolato solo da minotauri, ma dalla donna e da un essere del tutto simile alla donna, ma che donna non è.

Da questo momento in avanti ci scopriamo solidali, partecipi della tragedia del mostro, incapace di reagire (è sprovvisto delle capacità propriamente umane, della capacità di discernere fra Bene e Male, realtà e inganno) poiché in lui albergano tenui barlumi di ragione e purezza animale. Nulla potrà il minotauro quindi contro l’astuzia di Teseo, che mascherato anch’egli da minotauro lo saprà avvicinare e ingannare, e colpire a morte mentre l’essere per metà uomo e per metà uro gli si getta fra le braccia, convinto d’aver trovato un amico, un essere simile a lui.

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