Pastorale italiana di Gianfranco A. Bianchi è quindi romanzo “on the road”, ma pure soddisfa molte caratteristiche del romanzo d’ambientazione storica. Accanto ai personaggi di invenzione, ne compaiono anche di realmente esistiti, tra cui alcuni membri della famiglia Bonaparte e di altri “clan” gentilizi dell’epoca. La ricostruzione dei fatti e dei luoghi, con minuzia di dettagli geografici, architettonici e di costume, è accuratissima, e permette al lettore un’immedesimazione sensoriale a tutto tondo.
La struttura è quella di un diario, un resoconto oggettivo di quanto vissuto giorno per giorno dai vari protagonisti, che l’autore esamina con occhio benevolo, mai giudicante, in ogni sfumatura di carattere, di agìto e pensato. Attribuendo a ciascuno un valore individuale, una cifra umana specifica. Persino le comparse (come il soldato monco degli arti inferiori, amorevolmente assistito dai frati, che chiede solo di poter porre fine alle sue sofferenze), quelle cui l’autore, per necessaria economia, dedica poche righe, hanno il potere di restare impressi nel cuore del lettore.
Dal punto di vista strettamente letterario, Pastorale italiana presenta un’insolita scrittura, per metà “classica” e per metà molto moderna: tessiture di italiano in parte desueto e di espressioni popolari, di parole in lingua francese o dialettali, costrutti di periodi molto lunghi, e un uso ardito della punteggiatura (virgole spesso omesse a vantaggio di un ritmo particolare, specie nei monologhi interiori; discordi diretti inseriti nel corpo del testo senza preavviso, per meglio trasportare chi legge nell’azione, interiore o esterna che sia).
Si rimane sorpresi, all’inizio. Poi ci si lascia guidare fiduciosi, nella percezione di un autore di notevole spessore umano e letterario, che sa sempre scegliere il tono giusto, con una predilezione per la leggerezza e l’ironia; che coniuga con eleganza analisi dei fatti a un esercizio costante di pietas.
